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Il maestro dei ragazzi

di Giovanni Verga

La mattinaprima delle settesi vedeva passare il maestro dei ragazzimentre andava raccogliendo la scolaresca di casa in casa: con la mazzettina inuna manoun bimbo restìo appeso all'altrae dietro una nidiata di marmocchiche ad ogni fermata si buttava sul marciapiedecome pecore stracche. DonnaMenala merciaiagli faceva trovare il suo Aloardogià bell'e ripulitoafuria di scapaccionie il maestroamorevole e pazientesi trascinava via ilmonelloche strillava e tirava calci. Più tardiprima del desinaretornavarimorchiando Aloardino tutto inzaccheratolo lasciava sull'uscio del negozioeripigliava per mano il bimbo con cui era venuto la mattina.Così passava e ripassava quattro volte al giornoprima e dopo ilmezzodìsempre con un ragazzetto svogliato per manogli altri sbandatidietrod'ogni cetod'ogni colorecol vestitino attillato alla modaoppurestrascicando delle scarpacce sfondate; però tenendosi accosto invariabilmentele scolare che stava più vicino di casasicché ogni mamma poteva credere cheil suo figliuolo fosse il preferito. Lemamme lo conoscevano tutte; dacché erano al mondo l'avevano visto passaremattina e seracol cappelluccio stinto sull'orecchiole scarpe sempre lucidei baffetti come le scarpeil sorriso paziente e inalterabile nel viso disfattodi libro vecchio; senza altro di stanco che il vestito mangiato dal sole e dallaspazzolasulle spalle un po' curve. Sapevanopure che era un gran cacciatore di donne; da circa quarant'annidacché andavasu e giù per le strade mattina e seraal pari di una chioccia coi suoipulciniera sempre col naso in ariaagitando la mazzettina a guisa di unozimbellocome un vero uccellatorein cerca di un'innamorata - senza ombra dimale - una che lo guardasse ogni volta che passavae tirasse fuori ilfazzoletto quando egli si soffiava il naso - niente di più; gli sarebbe bastatodi sapere che in qualche luogovicina o lontanaaveva un'anima sorella.Talché lungo la perenne via crucis di tutti i giorniegli aveva delleimmaginarie stazioni consolatricidelle invetriate che soleva sbirciare dacchésvoltava la cantonatae che avevano senso e parole soltanto per luialle qualiaveva visto invecchiare dei visi amati - o scomparirne per andare a maritarsi -egli solo sempre lo stessoportando una instancabile giovinezza dentro di sédedicando alle figliuole il sentimento che aveva provato per le madrimulinandoavventure da Don Giovanni nella sua vita da anacoreta.Era come la conseguenza della sua professionel'incarnazione degli estripoetici che gli occupavano le ore d'oziola seradinanzi al lume a petroliocoi piedi indolenziti nelle ciabatte di cimosaben coperto dal pastranomentresua sorella Carolina rattoppava le calzedall'altro lato del tavolinettoanch'essa con un libro aperto dinanzi agli occhi. Faceva il maestro di scuolaper viverema il suo vero stato erano le letteresonettiodianacreonticheacrostici soprattuttocon tutte le sante del calendario a capoverso. Portavasotto il paletò spelatoda un capo all'altro della cittàstrascinandosidietro la scolarescala sacra fiamma dei versiquella che fa cantare legiovinette al chiaro di luna sul veroncello - e doveva farle pensare a lui.Sapeva giàcome se gliela avessero confidatatutta la curiosità che dovevasuscitare la sua personai palpiti che destava una sua occhiatale fantasieche si lasciava dietro il suo passaggio. Troppo scrupoloso però per abusarne!Un giornolo rammentava sempre con una dolce confusione internaunagiovinetta alla quale andava a dare lezioni di bello scrivere a domiciliovolleregalargli per la sua festa un bel fiore ch'era in un vasetto della scrivania -rosa o garofanonon si rammentava pel turbamento che gli aveva fatto velo allavista - glielo presentava con un atto gentilee gli dicevaal vederlo timido eimbarazzato: - L'ho tenuto lì per leisignor maestro. - No... la prego... Mirisparmi... - Come? non lo vuole?- Seguitiamo la lezionedi grazia!... Queste non son cose...- Ma perché? Che c'è di male... -Tradire la fiducia dei suoi parenti... sotto la veste di istitutore... -Allora la ragazza era scoppiata in una risata così mattacosìimpertinenteche gli squillava ancora nelle orecchie al ripensarcie ancoradopo tanto tempogli metteva in capo un dubbiouno di quei lampi di luce chefanno cacciare il capo sotto il guancialeper non vederlila notte.Ahquelle benedette ragazzechi arrivava a capirleper quanto gli annipassassero! Esse gli ridevano dietro le spalle. - Poidopo molto tempoquand'egli passava a prendere i loro bimbitirando in su i baffettiostinatamente nerisi sentivano intenerire da una certa commozione ripensandoal passatoalle rosee fantasie della prima giovinezzache evocava la figuramelanconica di quell'eterno cercatore di amore. -Entratedon Peppinoil ragazzo sta vestendosi. -Nograzienon importa. - Volete aspettareal sole? - Ho qui i ragazzi. Non possolasciarli. - Quanti ne avetesantapazienza! Ce ne vorràda mattina a seratanto tempo che fate quel mestiere!- Sìun pezzo che ci conosciamodi vista almeno. Quando lei stava invia del Carmineil terrazzino col basilico. Si rammenta?- Si diventa vecchidon Peppino! Ora abbiamo i capelli bianchi. Parloper meche ho già una figliuola da marito. -Giustoavevo portato qui una cosuccia per donna Lucietta. Oggi è la sua festami pare. - Cos'è? l'immagine di santaLucia? Nouna poesia! LuciaLuciavien quiguarda cosa t'ha portato ilsignor maestro. - PiccolezzedonnaLuciettascuserà l'ardire. - Bellobellograzie tante. Guarda che bel fogliomamma. Sembra un merletto.- Son cose leggiere. Proprio un ricamino in versicome ci vogliono peruna bella ragazza qual è lei. Piccolezzesa! -Graziegrazie. Ecco Bartolino. È mezz'ora che il signor maestro t'aspettamaleducato! - Guarda mamma; ritagliando ilbordo della carta tutto in giro se ne può cavare un bel portamazzise oggi mivengono dei fiori -. La scuola era un grandestanzone imbiancato a calcechiuso in fondo da un tramezzo che arrivava a metàdell'altezzae al di sopra lasciava un gran vano semicircolare e misteriosoilquale dava lume a un bugigattolo che vi era dietro. Accanto all'uscio vedevasiil tavolinetto del maestrocoperto da un tappetino ricamato a manoe sopratanti altri lavori fatti di ritagli: nettapennesottolumee un mandarino dilana arancionecolle sue brave foglioline verdicausa d'infinite distrazioniagli scolari. L'altro ornamento della scuolasulla larga parete nuda dietro iltavolinoera una cornicetta di carta traforataopera industre della stessamanoche conteneva due piccole fotografie ingiallitei ritratti del maestro edi sua sorellasomiglianti come due gocce d'acquamalgrado i baffetti inceratidell'unoe la pettinatura grottesca dell'altra: gli stessi pomelli scarni chesembravano sporgere fuori della cornicela stessa linea sottile delle labbrasmuntegli stessi occhi appannatiquasi stanchi di guardare perennementedalfondo dell'orbita incavatalo sbaraglio delle seggiole scompagnate per lascuola; e tutt'in giro la tristezza delle pareti bianchemacchiate in un cantodalla luce scialba della finestra polverosa che dava nel cortiletto.Di buon mattinoappena il falegname accanto principiava a martellareudivasi bispigliare due voci sonnolente nel bugigattolo oscuroe pois'illuminava il vano al di sopra del tramezzo. Il maestro andava a prendere unamanata di truciolistrascicando le ciabattetutto raggomitolato in un pastranospelatoe accendeva il fuoco per fare il caffè. Alloradietro la finestraappannatavedevasi salire la fiamma del focolare annidato sotto quattro tegolesporgenti dal muroe il fumo denso che stagnava nel cortiletto cieco. In fondoallo stanzino la sorella del maestro intanto cominciava a tossiredall'alba.Egli andava a prendere le scarpe appoggiate allo stipite dell'usciol'una accanto all'altracoi tacchi in altoe si metteva a lustrarleamorosamentementre faceva bollire il caffèritto innanzi al fuococolbavero del pastrano sino alle orecchie. In seguito toglieva dal fuoco lacaffettierasempre colla mano sinistraper pigliare colla destra la chiccherasenza manico dall'asse inchiodata accanto al fornellola risciacquava nelcatino fesso incastrato fra due sassi accanto al pozzoe portava finalmente illume nel bugigattolodiviso in due da una vecchia tenda da finestra appesa auna funicella. La sorella si alzava a sedere sul letto in fondostentatamentetossendosoffiandosi il nasogemendo semprecolle trecce arruffateil visoconsuntogli occhi già stanchisalutando il fratello con un sorriso tristed'incurabile. - Come ti senti oggiCarolina? - le chiedeva il fratello. -Meglio- rispondeva lei invariabilmente. Intantoil sole sormontava il tetto di faccia alla finestracome una polvere d'oroinmezzo a cui balenava il volo dei passeri schiamazzanti. Dietro l'uscio passavalo scampanellare delle capre. - Vado pellatte -diceva don Peppino. - Sì-rispondeva lei collo stesso moto stracco del capo. Ecominciava a vestirsi lentamentementre il maestroaccoccolato col bicchierein manoleticava col capraio che gli misurava il latte come fosse oro colato.Carolina andava a rifare il lettuccio piatto del fratellodall'altraparte della cortinarialzandola tutta sulla funicella per dare aria allastanzacome era solita dire; e si dava a strascicare la scopa per la scuolaadagio adagiomovendo le seggiole una dopo l'altraappoggiandosi al bastonedella scopa per tossirein mezzo al polverìo. Ilfratello tornava coi due soldi di latte in fondo al bicchieree due panettinelle tasche del pastrano. Ripiegavano un lembo del tappetinoper noninsudiciarloe sedevano a far colazione in silenziol'uno di qua e l'altra dilà del tavolinotagliando ad una ad una delle fette di pane sottilimasticando adagioe come soprapensieri. Soltantoogni volta che lei tossivail fratello rizzava il capo a fissarla in aria inquietae tornava a chinare gliocchi sul piatto. Alfine egli se ne andavacolla mazzettina sotto l'ascellail cappelluccio sull'orecchioi baffettiinceratitirando in su il colletto della camiciainfilandosi con precauzione iguanti neri che puzzavano d'inchiostroseguito passo passo dalla sorella che siostinava a passargli straccamente la spazzola addossocovandolo con uno sguardoquasi maternoaccompagnandolo dalla soglia con un sorriso rassegnato dizitellonache credeva tutte le donne innamorate di suo fratello.Anch'essa aveva avuto la sua primavera scolorita di ragazza senza dote esenza bellezzaquando rimodernavaogni festa principalelo stesso vestitinodi lana e setae architettava pettinature fantastiche dinanzi allo specchiettoincrinato. Ohle rosee visioni che passarono su quella vesticciuolamentreessa agucchiava le intere notti! e gli sconforti amari che la tormentaronodinanzi a quello specchioal quale si affacciavano ogni volta inesorabilmente ipomelli ossuti ed il naso troppo lungo! In mezzo al crocchio allegro ecivettuolo delle altre ragazze ella portava sempre come la visione dolorosadella sua figura grottescae se ne stava in disparte - per vergognadicevanole une- per orgogliodicevano le altre. - Giacché passava anche lei perletterata. Nello squallore della loro miseria decente le lettere avevano messoun confortouna lusingacome un lusso delicato che li compensava dellacommiserazione mal dissimulata dei vicini. Essa teneva gelosamente custoditiinbelle copie tutte a svolazzi e maiuscole ornatei versi del fratello; e quandoegli si era lasciato vincere alfine dall'indifferenza generaledalla stanchezzadell'umile e faticoso impiego che doveva fare delle lettere per guadagnarsi ilpaneessa sola era rimasta una gran leggitrice di romanzi e di versi: avventureepiche di cappa e di spadacasi complicati e straordinariamori eroicidelitti misteriosiepistolari di quattrocento pagine tutte piene di una solaparolanenie belate al chiaro di lunadolori di anime in lutto prima dinascereche piangevano delusioni future. Tutta la sua giovinezza squallidas'era consunta in quelle fantasie ardentiche le popolavano le notti insonni dicavalieri piumatidi poeti tisici e biondidi avvenimenti bizzarri eromanzeschiin mezzo ai quali sognava di vivere anche mentre scopava la scuolao faceva cuocere il magro desinarenel cortiletto cieco che serviva da cucina.E sotto l'influenza di tutto quel medio evola preoccupazione dolorosa dellasua disavvenenza e della sua povertà manifestavasi in modo grottescoconricciolini artificiosi sulla frontetrecce spioventi sulle spallesgonfimedioevali ai gomiti del vestito e gorgiere inamidate.- Che è l'ultimo figurino quello? - avevale chiesto un giorno la piùelegante e la più crudele delle sue compagne. Luisolo - tanto tempo addietro! - adesso era impiegato alla Pretura Urbana - quantipalpiti! quanta dolcezza! quanti sogni! Ed ora più nullaallorché loincontrava per casocarico di moglie e di figliuoli! Allora era un giovinettosmuntocon grandi occhi pensosi che stavano a guardare i «vortici delledanze» dal vano di un usciocome dall'altoda cento miglia lontano. Leragazze lo canzonavano anche un po' perché non ballava mai; lo chiamavano «ilpoeta». Egli da lontano inchiodava uno sguardo fatale su quella ragazzasola edimenticata in un cantuccio al par di lui. Una domenica infine le si fecepresentare; le disse con una lunga frase ingarbugliata che aveva ambito l'onoredi far la sua conoscenza perché «nella festa» era l'unica persona con cui sipotesse scambiare due parole: lo sentivagliel'avevano detto: sapeva anche cheera una distinta cultrice delle lettere... «Ledanze» giravano giravano «vorticose» in un gran polverìosotto la lumiera apetrolioed essi sembrano cento miglia lontaniproprio come nei romanzimezzonascosti dietro la tenda all'uncinettolui col cappello sull'ancae l'arcodella mente teso per ogni parola che gli usciva di bocca; lei irradiata daquella prima lusinga che le veniva da un uomocon una nuova dolcezza negliocchiattraverso i ricciolini. - È unpoema? - Noun romanzo.- Storico? - Oibò signorina! Per chimi piglia? Sa il detto di quel tale: «Chi ci libererà dai Greci e daiRomani?...» - Genere Manzoni allora?- Nopiù moderno; stavo per dire più fine; certo più nervoso... tuttala nervosità del secolo in cui viviamo... -E il titolo? si può sapere almeno? - Leisì! - Amore e morte! - Bello! bello! bello!Ci ha lavorato molto? - Saran quattr'annicirca. - Perché non lo fa stampare? -Il giovanotto alzò le spalle con un sorriso sdegnoso.- Peccato! Egli ebbe un lampo negliocchiper la risposta che gli balenava in mente pronta e azzeccata; un lampoche illuse la poveretta: - Mi basta questaparola suaguardi! - La Carolina avvampòdi gioia; e chinò il capocol petto che le scoppiava.- Che dice?... Io!... Che dice mai?... - L'altrogonfiandosi nel soprabito anche lui a quella prima lusinga che gli veniva da unadonnale lasciava cadere sul capo chinodall'alto del suo colletto inamidatola confidenza che il trionfo più ambito per uno scrittore è quello di unaparola... una parola sola... d'encomio... d'incoraggiamento... che venga da unapersona... - Pardon! - s'interruppe a untratto tirandosi bruscamente indietro. - Gliè arrivata? - chiese scusandosi il padrone di casa che girava coll'annaffiatoio.- Mi dispiacesa... Facevo perché si soffoca dalla polvere. Non le pare? -Il poeta continuava dicendo che era proprio una fortuna d'incontrarsi...in mezzo a tanta volgarità invadente... -Lei non balla? - domandò infine. - Io...- Stia tranquilla. Non ballo neppur io. Sa il detto di quel tale: «Noncapisco perche cotesto lavoro non lo facciano fare dai domestici!» Ed è veroinfatti. Provi a tapparsi le orecchieper vedere l'impressione grottesca...- È veroè vero. - Sentisse poiche discorsi! - Il caldola follai lumi... Quando si arriva a parlar delleacconciature è già un gran progresso. A propositolei è messa divinamente...Nonomi lasci direè diversa dalle altre; un buon gustoun'originalità...- Tese l'arco delle sopraccigliae lescoccò l'ultima frecciata: - Insommal'abito non fa il monaco; ma il buon gusto dice la persona... -Com'era bello il valzer che sonavano in quel punto! come l'era rimasto incuore tutta la notte! e come lo canticchiava poi a mezzavocecogli occhi gonfidi lagrime deliziosecucendo nel cortiletto oscuro! Sul pilastrino del pozzo igarofaniche allungavano dal vaso slabbrato gli steli tisicis'agitavano lievelieve al solee parevano rinascere. Che pace ora con se stessaquando siguardava nello specchio! che dolcezza in certi toni della sua voce! che soavitànel raggio della luna che baciavain altoil muro dirimpetto! e nell'oro deltramonto che scappava dal comignolo del tettoe scintillava sui vetri di quellafinestra dove si vedeva alle volte un fanciulletto biondo in una scranna abracciuoliimmobile per delle ore! Viverevivereanche in quel cortilettotristefra quelle quattro mura che avevano una melanconia intima e quasiaffettuosanelle umili occupazioni divenute carecon quell'altro mondofantastico che le aprivano i librisotto la carezza di quella voce fraternaamorevole e protettrice; e in fondo al cuore poi come un punto luminosocomeuna fibra delicata che trasaliva al menomo toccocome una gran gioia che avevabisogno di nascondersi e le balzava alla gola ogni momentocome una fedecomeuna tenerezza nuova per ogni cosa e ogni persona nota - e l'attesa di quelladomenicadi quel ballonzolo periodico in mezzo alla polvere e al puzzo dipetroliodove sapeva di rivedere colui che da otto giorni aveva preso tantaparte nel suo cuore e nella sua vita! Stavoltale venne incontro appena la videcon una stretta di mano che riannodava a untratto la loro intimità spiritualee le si mise al fiancodietro la tendaall'uncinettocolla destra nello sparato della sottovesteparlandole sempre disédelle sue inclinazionidei suoi gustidelle sue ammirazioniche eranopoche e caldedella sua ambizioneche toccava il cielo. Di tratto in trattoquando gli pareva che la ragazza chinasse il capo stanco sotto tutto quell'ioimplacabilele accoccava un complimentocome un cocchiere fa schioccare lafrusta nelle salite. La giovinetta però chinava il capo per la commozionecolcuore tutto aperto a quelle confidenze che cercavano avidamente la simpatia dilei. Egli puretrascinato dalla sua fogaeccitato dalle sue frasi medesimesiabbandonavacominciava a sbottonarsia scendere fino ai suoi piccoli guai: suopadre che lo contrariava nelle sue inclinazioninelle tendenze più spiccatedel suo ingegno... Nei due anni d'Università non aveva imparato nulla. Avevascritto soltanto dei versi sulle panche della cattedra di Diritto Civile.- Un vero parricidio! - osservò Carolina sorridendo.Egli per la prima volta la baciò con un'occhiata d'ineffabile tenerezza.- Carolina! Carolina! - chiamava il fratello. E sottovoce le disse all'orec-chio: - Bada che tutti ti guardano; sei sempre con colui. Chi è? -Qua e làdietro i ventaglie nei crocchi delle ragazzebalenavanoinfatti dei sorrisi mal dissimulati. Ma Carolinafieralo presentò alfratello: - Il signor Angelo Monacodistinto poetal'autore di Amore e morte! -So che anche il signore è un chiaro cultore delle lettere! - disse il Monacotendendogli la mano regalmente. Ilromanziere aveva «sollecitato l'onore» di leggere il manoscritto del suoromanzo in casa del maestro «per averne un giudizio illuminato e sincero». Unaseradopo la scuolalo installarono dinanzi al tavolinetto dal tappetinoricamatocon due candele accese dinanzicome un giocatore di bussolottidonPeppino col capo fra le manitutto raccolto nel disegno di appioppargli allasua volta la lettura dei propri versiche si sentiva rifiorire in petto gelosia quell'avvenimento; la sorella digià commossa dalla solennità deipreparativila porta chiusale seggiole dei ragazzi schierate in filacomeper una folla di ascoltatori invisibili. Ilmanoscritto era voluminosocirca mezza risma di carta a manoraccolta in unacustodia di marocchino col titolo in oro sul dorsoe legata con nastritricolori. L'autore leggeva con convinzionesottolineando ogni parola colgestocolla vocecon certe occhiate che andavano a ricercare l'ammirazione involto alla Carolinapallidissimae al fratello di leiimpenetrabile dietro ilpalmo delle mani; si animava alle sue frasi istesse come un bàrbero alloscrosciare delle vesciche che porta attaccate alla coda; senza un minuto distanchezzaquasi senza bisogno di voltar pagina. Le pagine volavanovolavanocon un fruscìo quasi di foglie secche d'autunnonel gran silenzio della notte.Tutti i rumori della via erano cessati uno dopo l'altro. La luna alta siaffacciava al finestrino. C'era un punto incui il protagonista del romanzodisperatoforzava la consegna di uno stuolo didomestici in gran livreaschierati in anticamerae andava a bere la mortenell'alcova della sua bella appena tornata dal balloancora in una nuvola dimerletti e di pizzi. Egli la bollava con parole di fuocovoleva offrirledeaimplacabilel'olocausto del suo sanguedei suoi sensidel suo amoreimmensurabilelì ai piedi dell'altare istessosu quel tappeto di Persiadinanzi a quel letto immacolato. E all'occhiata trionfante che faceva puntol'autore vide con gioia crudele la sua ascoltatrice che piangeva cheta chetacolla mano dinanzi agli occhi. Ei le presequella manoe se la tenne sulle labbra a lungo per godere del suo trionfo.- Perdonatemi! - mormorò poscia. Ellascosse il capo dolcementee rispose con un filo di voce:- No. Sono tanto felice! - La lunadal finestrino baciava la parete dirimpettotacita. Al silenzio improvviso ilmaestro si destò. Angelo Monaco prese afrequentare la casa del maestroattratto dalla simpatia che vi trovavalusingato da quell'ammirazione fervidada quell'amore timido e profondo di cuila sua vanità era riconoscente in modo da simulare alle volte un ricambio dellostesso sentimento. Carolina aspettavafelicetutta piena di una vita nuova in mezzo alle solite modeste occupazionisorpresa da batticuori improvvisida dolcezze inesplicabiliper un nullapertaluni avvenimenti consueti che prima non le avevano detto cosa alcunabeandosidi uno sguardodi un sorrisodi una paroladi una stretta di mano di luitrepidante all'ora in cui egli soleva venirecommossa da una tenerezzaineffabile quando vedeva il raggio della luna sul finestrinoogni quintadecimaal sentire la campana dell'avemarial'organetto che passavala voce delfratello che pronunziava il suo nometurbata solo da un imbarazzo insolito e dauna nuova tenerezza per lui. Anch'egli le sembrava cambiato. Da qualche tempo latrattava con una dolcezza affettuosa e quasi tristecon un riserbo discreto epietoso. Un giorno finalmenteal momento di uscire insieme ai ragazzicolcappelluccio in testa e la mazzettina in manola chiamò in dispartedietro lacortina rossa: - ... SaiCarolina... Staper ammogliarsi... No! senti! Coraggiocoraggio!... Guarda che io ho lì iragazzi... Perdonami se ti ho fatto dispiacere!... Toccava a me a dirtelo...Sono tuo fratelloil tuo Peppino!... - Ellauscì nello stanzonebarcollantecome si sentisse soffocaree balbettò dopoun momento: - Come lo sai? Chi te l'hadetto? - Masinoquel ragazzoil figlio delcaffettiere. Oggicome l'incontrammo per casoe vide che lo salutavomi hadetto che sposa sua sorella. - Vaivai-disse la poveretta respingendolo colle mani tremanti. - I ragazzi aspettano -.E fu tutto. Ella non aggiunse una parolanon gli mosse un lamento.L'ultima volta che la videAngelo la trovò così afflittacosì chiusa nelsuo doloreche ne indovinò il motivo. Sull'uscio del cortilettocogli occhirivolti a quello spicchio di cielo e una lagrima vera negli occhiegli le disseaddiocommosso dall'accento suo stesso. Il giorno dopo le scrisse una letteratutta fremente da un rigo all'altro d'amore e di disperazionela prima in cuile parlasse d'amoreper dirle che il suo era fatale e doveva immolarlosull'altare dell'obbedienza filiale. «Siate felice! siate felice! lontana ovicinain vita e in morte!...» Fu la sola «missiva» d'amore che ellaricevessee la custodì gelosamente fra i fiori secchi ch'ei le aveva donatiei nastri scolorati che portava il giorno in cui si erano incontrati per la primavolta. Poistancaaveva riversato sulfratello le sue illusioni giovanilirifacendo per lui i castelli in aria in cuis'erano passati i sogni ardenti della sua vita claustralesubendosotto altraformale stesse calde allucinazioni che le erano rimaste di tante bizzarreletturenelle quali si era consunta la sua giovinezzadietro il tramezzo dellascuolacom'era morto il geranio che aveva agonizzato dieci anni nel cortilettosenza sole. Una volta era stata una rosa che essa aveva sorpreso nel portapennedella scrivaniae s'era sfogliata senza che lei osasse toccarlalasciandole ungrande sconforto a misura che le foglioline si sperdevano nella polvere.Un'altra volta un bigliettino profumatovisto alla sfuggita sul tappetino dellascrivaniascomparso subito misteriosamenteche l'aveva fatta almanaccare unmeseturbandola anchementre stava chiuso nel cassettocol suo odore sottilefinché le era caduto un'altra volta sotto gli occhifra le cartacce inutili dabuttare via nel cortiletto - la stessa corona dorata in cima al foglioprofumatolo stesso carattere elegante con cui un ragazzo si faceva scusaredalla mamma non so quale mancanza. Un giornoinfine il romanzo sembrò disegnarsial giungere di una superba bionda che eravenuta a prendere un ragazzetto pallido in una carrozza signorileriempiendotutta la scuola del fruscìo della sua vestedel profumo del suo fazzolettodel suono armonioso della sua voce fresca e ridente come un raggio di sole cheavesse abbarbagliato maestro e discepoli. La povera zitellona per molti giorniancoraalla stessa oraaveva aspettata la bella seduttricenascosta dietro latenda del tramezzocol cuore che le batteva fortesconvolta sino alle visceree come violentata da un delizioso segretoda un turbamento stranoin cui simescevano una tenerezza nuova pel fratelloun senso di vaga gelosiae unacontentezzaun orgoglio segreto. Eranoreticenze discretesilenzi pudichiimbarazzi scambievoliper un cennoperuna parolaper un'allusione lontana che cadesse nel discorsomentre sedevano atavolal'uno di qua e l'altra di là di un lembo del tappetino ripiegatomentre rifacevano tutti i giorni la stessa conversazione vuota e insignificantedel giorno innanziripetendo le stesse frasi monotone che compendiavano la loroesistenza scolorita ed uniformea voce bassacon una certa timidezzavergognosa. Egli chinava il capo arrossendocome sorpreso sul fatto; e giurava di nofacendo una scrollatina di spallegongolando dentro di sécon un sorrisetto di vanagloria che gli tremolavasulle labbra. Alle voltein un'effusioneimprovvisa di tenererza riconoscentele posava la destra sul capocon quellostesso sorrisetto discreto che pareva dicesse: -Stai tranquillascioccherella! - Perònella rettitudine istintiva della sua coscienzala zitellona sentiva nascereuna ripugnanzaun'inquietudine dolorosa per tutto ciò che doveva esserci dilosco e di pericoloso in quel romanzo clandestino. Allora correva a buttarsi aipiedi del confessorenel nuovo fervore religioso in cui si era rifugiata quandoaveva provato il più gran dolore della sua giovinezzalo sconforto el'abbandono d'ogni lusinga terrenae domandava perdono per la dolce colpa chelei non aveva commessofaceva la penitenza del peccato immaginario che eranella sua casa. E calda ancora di quelfervore vi attingeva il coraggio per esortare il fratello a rientrare nel rettosentiero con delle allusioni velatedelle insinuazioni discreteun'effusionedi tenerezza timida e quasi materna. -Peppino! - gli disse infine- dovresti darmi una gran consolazione. Dovrestirisolverti a prender moglie -. Egli rizzòil caposorpreso primae poscia lusingato dalla proposta che gli toglievavent'anni d'addossoobbiettando col medesimo ingenuo entusiasmo della sua primagiovinezza che «il matrimonio è la tomba dell'amore» per farsi pregareancora. - Dammi rettaPeppino!... Poiquando non sarai più in tempo te ne pentirai!... -Egli si ostinava a scrollare il capolusingato internamente di poterrifiutare per la prima volta; senza notare l'espressione dolorosa che c'eranell'accento della povera zitellona. - Nonon mi lascio pescare. Stai tranquilla. Amo troppo la mia libertà! -Ella provava un senso strano di simpatiadi commiserazionee di rancoreper quel fanciulletto esile e pallido che la dama bionda era venuta a cercareeche supponeva fosse il complice innocente della loro tresca. Lo covava cogliocchi da lontanonascosta dietro la tendaquasi egli portasse alla scuolaneisereni lineamenti infantiliun riflesso delle seduzioni tentatrici della mammainquieta se lo scolaretto mancava qualche voltaalmanaccando tutto un romanzodomestico dai menomi atti del ragazzo inconsapevole. Se lo chiamava vicinoquando poteva farlo da solo a sololo accarezzavalo interrogavagli facevaqualche regaluccio insignificanteattratta e ripugnante nello stesso tempodella sua grazia infantile. Un giorno il fanciullettotutto contentole disse:- Dopo le vacanze non vengo più a scuola -.Ella gli chiese il perchébalbettando. -La mamma dice che ora son grande. Andrò in collegio -.Così terminò anche quel romanzo. Ella ne sentì prima un gran sollievo;ma nello stesso tempo un dubbiouno sconforto amarovedendo dileguarsi anchele ultime illusioniche aveva collocate sul fratello.Il male che la rodeva da anni e anni la inchiodò infine nel letto. Ilpovero maestro non ebbe più un'ora di pace: sempre in faccende anche nei breviistanti che la scuola gli lasciava liberiscopandoaccendendo il fuocorifacendo i letticorrendo dal medico e dallo spezialecoi baffi stintilescarpe infangateil viso più incartapecorito ancora. Le vicinemosse acompassionevenivano a dare una mano: ora l'una ed ora l'altra: donna Menalavedova del merciaiocon tutti gli ori addossocome se andasse a nozze; el'Agatina del falegnamelesta di mano e sempre allegrache riempiva della suagaia giovinezza la povera casa triste; talché il vecchio scapolo era tuttoscombussolato da quelle gonnelle che gli si aggiravano per casatentatoanchein mezzo alle sue angustiequasi da un ritorno di giovinezzada sottilipunture nel sangue e al cuoreche gli cocevano come un rimorsonelle ore nere.- Megliomeglio. Ha riposato -. Ilpoveraccioal trovare quella buona notizia sulla sogliale afferrò la manotremante e la baciò. - Ohdonna Mena. Checonsolazione! - Essa gli fece segno ditacere e lo condusse in punta di piedi a veder l'infermache riposava con unagran dolcezza sul visogià lambito da ombre funebri. E come se la dolcezza diquell'istante di tregua gli si fosse comunicataaffranto dall'angoscia cheaveva trascinato insieme ai suoi ragazzi da un capo all'altro della cittàeglicadde a sedere sulla seggiola dietro la cortinasenza lasciare la mano di donnaMenache la svincolò adagio adagio. La stanza era già oscuracon un senso diintimità misterioso e triste. Ad un trattola sorella svegliandosi lo chiamòindovinando ch'era lìe per la prima voltaegli accendendo il lume si trovò imbarazzato dinanzi a lei insieme a un'altradonna. Era stata una crisi terribile: laprima lotta colla morte che già abbrancava la preda. L'infermatornata in séguardava il lumele paretiil viso del fratello con certi occhi attoniti incui durava ancora la visione di terrori arcanie lo accarezzava col sorrisocol soffio della vocecolla mano tremantein un ritorno di tenerezzaineffabileche si attaccava a lui come alla vita. Eallorché furono soligli disse pure con quell'accento e quello sguardosingolari: - No quella!... Quella noPeppino! - Verso l'agosto sembrò checominciasse a stare alquanto meglio. Il sole giungeva fino al lettodall'usciodel cortilee la sera entravano a far compagnia tutti i rumori del vicinatoilchiacchierìo delle comarilo stridere delle carrucolenei pozzi tuttointornola canzone nuova che passaval'accordo della chitarra con cui ilbarbiere dirimpetto ingannava l'attesa. La ragazza del falegname entrava con unfiore nei capellicon un sorriso allegro che portava la gioventù e la salute.- Nononon ve ne andate ancora! Vedete il bene che fa a quellapoveretta soltanto a vedervi! - Si fa tardisignor maestro. È un'ora che son qui. - Nonon è tardi. A casa vostra lo sanno che siete qui. Piuttosto dite che viaspettano le compagnelì sull'uscio. - Nono. - O l'innamoratoeh? Sarà l'ora in cuisuole passare col sigaro in bocca... - Oh...che dite maivossignoria!... - Sìsìuna bella ragazza come siete... è naturale. Chi non si innamorerebbeal vederequegli occhi... e quel sorriso... e quel visetto furbo.- Ma cosa gli salta in mente adesso?... - Eun giorno s'arrischiò anche a dirlenel vano dell'uscio tutto illuminato dallaluna: - Ah! foss'io quel tale!- Leisignor maestro!... Che dice mai! - L'emozionelo prendeva alla golamentre la ragazzaper rispettonon osava ritirare lamano che le aveva afferrata. E traboccarono frasi sconnesse: L'amore cheeguaglia: la poesia ch'è profumo dell'anima: i tesori d'affetto che sicristallizzano nelle anime timide: la divina voluttà di cercare il pensiero eil volto dell'amata nel raggio della lunaa un'ora data. - La ragazza loguardava quasi impauritacon grand'occhi spalancatie tutta bianca nel raggiodella luna. - Non dimenticherò maiquest'ora che mi avete concessoAgata! Né questo nome! mai! Divisilontani...ma ricorderemo... entrambi... - Mi lasciandaremi lasci andare. Buona sera -. L'infermaappoggiata a un mucchio di guancialichiacchierava sottovoce col fratelloseduto accanto al lettoancora col cappello in testa e la mazzettina fra legambe. Pareva che avesse a dirgli una cosa importantedai silenzi improvvisiche le soffocavano la parola in goladalle occhiate lunghe che posava su luidai rossori fugaci che passavano sul pallore del viso disfatto. Infinechinandoil capogli disse: - Perché non ci pensiad accasarti? - Nono! - rispose luiscrollando il capo. - Sìora che sei intempo... Devi pensarci finché sei giovane... Poiquando sarai vecchio... esolo... come farai? - Il fratellosentendosi vincere dalle lagrimeconchiuseper tagliar corto:- Non è tempo di parlarne adesso! - Peròessa ritornava spesso sullo stesso argomento. -Se trovassi una bella giovinettariccaistruitadi buona famigliachefacesse per te... - E una sera che sisentiva peggio torno a parlargliene ancoracoll'inquieto cicaleccio proprio delsuo stato. - Nolasciami direora che houn po' di fiato. Non posso permettere che ti sacrifichi per tenermi compagnia...tutta la tua giovinezza... Una buona dote non può mancarti. E se lasci lascuolatanto meglio. Vivremo tutti insieme; faremo una casa sola. Uno stanzinomi basteràpurché sia molto arioso. Vorrei che fosse verso il giardino. Dellastrada non so che farmeneoramai... Ho sempre desiderato di vedere il cielostando in letto... e del verdedegli alberi... comeper esempioaverci unafinestra là dove c'è ora la cortinauna finestra che guardasse nei campi... -Si udiva la pioggia che scrosciava nel cortilettouna di quelle pioggeche annunziano l'autunnoe la pentola di lattalasciata fuoriche risonavasotto la grondaia. Un gattonella buferachiamava ai quattro venticon voceumana. Il maestroche aveva seguìto ilvaneggiare della sorella verso il verde ed il solecoll'allucinazione perenneche era in luile chiese affettuosamente: -Ora che viene l'autunno saresti contenta d'andare in campagna?- E la scuola? - ribatté lei con un sorriso malinconico. - Se tupigliassi una buona dote invece... con dei poderi...- Benedette donne! quando si ficcano un chiodo in testa!... - rispose luicon un sorrisetto malizioso. E parevaesitare a decidersi. Ma dopo averci pensato sufinì col dire:- Non mi vendono! - E abbottonò ilsoprabito con dignità. - Se ho da fare unascelta... Se mai... È inutile! - conchiuse finalmente. - Amo troppo la mialibertà! -. Ella insisteva a dire chequeste cose si fanno finché uno è giovaneche se no si finisce in mano dellaserva o di qualche intrigante. Poisiccomeil fratello non voleva arrendersila zitellona si lasciò scappare in un impetodi gelosiaalludendo alle vicine: - Vediche già ti si ficcano in casae cominciano a fare dei disegni su di te? -E la poveretta morì col crepacuore di lasciare il fratello esposto alleinsidie di quelle intriganti. Com'ella avevafatto un gran vuoto in quel bugigattoloper quanto poco spazio vi avesseoccupato in vitae il fratello vi si sentiva come perduto in una gransolitudinein una gran desolazionenelle ore che i ragazzi gli lasciavanolibereprese ad andare dal falegnametutte le sereattratto da unagratitudine dolce e malinconica verso la ragazzona che aveva avuta tanta caritàper la sua povera morta. Ma il falegnameche certe cose non le intendevaglifece capire che in bottega del maestro di scuola non sapeva che farsenee glifacesse invece il piacere di levarsi di quei trucioli.Anche donna Menaqualche tempo dopoquando vide che le visite delmaestro si facevano troppo frequenticol pretesto dell'Aloardinoe non finivamai di ringraziarla dell'assistenza che aveva fatta alla sua povera sorellaperstringerle la mano e farle gli occhi di trigliagli disse sul mostaccio:- Orsùsignor maestrofacciamo a parlarci chiaroché il vicinatocomincia a mormorare dei fatti nostri -. Ilpoveracciocolto alla sprovvistasi confuse. Ma infine prese il suo coraggio adue mani: - Or benedonna Mena! Anchequella poveretta l'aveva previsto. Non ho voluto decidermi mai a fare questopassoperché amavo troppo la mia libertà... Ma ora che vi ho conosciutameglio... se volete... - Ehnon li avevatefatti male i vostri conticaro miopoiché siete stanco d'andare attorno coiragazzi! Ma il fatto mio ce lo siamo lavorato io e la buon'anima di miomarito... E non per farcelo mangiare a tradimento -.Ogni giornomattina e seratornava a passare il maestro dei ragazzicon un fanciulletto restìo per manogli altri sbandati dietroil cappellucciostinto sull'orecchiole scarpe sempre lucidei baffetti color caffèlafaccia rimminchionita di uno ch'è invecchiato insegnando il b-a-bae cercandosempre l'innamoratacol naso in aria. Soltantotornando a casa serrava a chiave l'uscioper scopare la scuolarifare illettoe tutte le altre piccole faccenduole per le quali non aveva più nessunoche l'aiutasse. La mattinaprima di giornoaccendeva il fuocosi lustrava lescarpespazzolava il vestitosempre quelloe andava a bere il caffè nelcortilettoseduto sulla sponda del pozzotutto solo e malinconicocol baverodel pastrano sino alle orecchie. Ed ora che la povera morta non ne aveva piùbisognorisparmiava anche quei due soldi di latte.